mercoledì 11 settembre 2013

IL DODECANNESO ITALIANO 1923-1936 (Recensione su IL FOGLIO QUOTIDIANO dell'11/11/2013)

"Il Dodecaneso italiano. 1912-1947. II. - II governo di Mario Lago", di Luca Pignataro (Solfanelli, 658 pp., 40,00 euro)


Dopo un primo volume, uscito nel 2012, e incentrato sugli aspetti generali del governo delle isole dell'Egeo sotto l'occupazione provvisoria italiana, dal 1912 al 1923, vista nella prospettiva del passaggio da un'amministrazione diretta da militari a una di funzionari civili, questo secondo, ponderoso testo (l'opera completa ne prevede anche un terzo, di prossima uscita) è dedicato agli anni che vanno dal 1923 al 1936, e alla figura del governatore Mario Lago, il diplomatico ligure (nato a Savona nel 1878 e morto a Capri nel 1950) che fu nominato governatore del Dodecaneso nel 1922, e che si caratterizzò per una politica lungimirante e sostanzialmente rispettosa delle istanze culturali delle popolazioni della colonia italiana nell'Egeo. Lago fu senza dubbio il personaggio chiave di una vicenda che, con lo studio appassionato e minuzioso di Pignataro, esce finalmente dal cono d'ombra e di approssimazione nel quale è stata a lungo relegata. Il libro ricostruisce il profilo biografico di Mario Lago, che fu sodale di qualificati esponenti della cultura italiana del primo Novecento, oltre che egli stesso scrittore e critico d'arte, e la sua opera di governo in Egeo sullo sfondo dei complessi rapporti tra amministrazione italiana, regime fascista, enti locali, comunità etnico-religiose. Senza dimenticare le esigenze di politica estera e il ruolo di Rodi, capitale della colonia, come centro d'influenza italiana in oriente, particolarmente nei riguardi degli ebrei. Il governo di Lago, spiega Pignataro, segnò per il Dodecaneso l'ingresso nella "modernità". Non solo per la costruzione di infrastrutture ma anche per l'impulso nell'amministrazione pubblica e in settori e iniziative (catasto, censimento, sanità, assistenza all'infanzia, istruzione, bilanci comunali, elezioni amministrative), fino a quel momento trascurati o inesistenti.


© IL FOGLIO QUOTIDIANO di Giuliano Ferrara
Mercoledì 11 settembre 2013



Luca Pignataro
IL DODECANESO ITALIANO 1912-1947
II - Il Governo di Mario Lago 1923-1936
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-713-0]
Pagg. 664 - € 40,00
http://www.edizionisolfanelli.it/ildodecanesoitaliano2.htm









Luca Pignataro
IL DODECANESO ITALIANO 1912-1947
I - L'occupazione iniziale: 1912-1922
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-712-3]
Pagg. 248 - € 20,00
http://www.edizionisolfanelli.it/ildodecanesoitaliano1.htm

martedì 10 settembre 2013

Books: The Italian Dodecanese, a unique, forgotten history

Books: The Italian Dodecanese, a unique, forgotten history

Pignataro's Vol. II focuses on Governor Mario Lago (1923-1936)

10 SEPTEMBER, 10:25

(by Patrizio Nissirio) (ANSAmed) - ROME, SEPTEMBER 9 - Strategically located in the Aegean Sea off the eastern edge of Crete, the Dodecanese Islands were colonized by Italy from 1912-1947: the second volume of historian Luca Pignataro's ''The Italian Dodecanese'' (Solfanelli publishers, 655 pages, 40 euros) sheds light on an occupation that, at least until 1936, was marked by good administration, efforts to modernize a long-marginalized area, and tolerance towards local communities.

The second volume of a history narrated with accuracy and a wealth of materials focuses on Mario Lago, who was governor of the colony from 1923-1936.

''A man of culture as well as a diplomat'', says Pignataro, ''because it must be said Mussolini wanted it that way, at least for a while. Mussolini wanted to establish good relations with Greece and Turkey, so he drew up some treaties with that purpose and unofficially decided to preserve a degree of autonomy for the inhabitants. In 1936, when the aim became challenging Great Britain for control of the Mediterranean, Italian foreign policy became more aggressive''. Why has this piece of Italian history in the once-Ottoman, now Greek islands fallen into oblivion? ''The main reason is Italy lost the war, so it had to try to make others forget its previous superpower attitudes,'' the historian explained to ANSAmed. ''In the post-war period, Italy had to try to re-establish good relations with its neighbors, in this case with Greece. Then, the islands were far away, and there were few Italians living there. Also, the Italian rule of the Dodecanese became involuntarily linked with the 1940 attack on Greece. That was a very sad page, and everything that could become an obstacle to good relations between Italy and Greece had to be forgotten.'' ''Lago was a man of culture - says Pignataro - and he tried to make the islands flourish. He was fairly tolerant towards the various local communities, took a soft-handed approach, without political fanaticism. His period was not one of Fascism with a truncheon. Of course, as the representative of a foreign power his mandate was to 'Italianize' the inhabitants to a degree. But he respected local customs and tried to preserve them.'' And the Greeks? How do they remember that period? ''Educated, European-oriented Greeks are very interested in that history, while older educated Greeks berate it, out of ideological prejudice. On the contrary, the locals recall it as a time of good administration'', says Pignataro, who spent 10 months in the Rhodes island archives. ''They recognize the quality of the architecture and urban planning. Now they are in disrepair, and they lament their loss.'' Things changed with the arrival of Governor Cesare De Vecchi di Val Cismon in 1937. ''De Vecchi imposed Italian as the only language in schools, which all became state-run. He sacked local teachers and brought others in from Italy. There were unpleasant episodes, with Fascist squads participating in repression. But even then, there was a concern for the material well-being of the locals. De Vecchi did not want Italy to declare war.

Personally he was not an anti-Semite, although he later applied the Racial Laws.'' ''De Vecchi's policies and most of all, Italy's entry into war ruined everything,'' Pignataro recalls. ''At that point, it became clear that whoever won the war would get to keep the islands. There was a measure of local hostility towards Italians, although peppered with stories of friendships being struck up with Italian soldiers. On the island of Kastellorizo a number of locals fought the British alongside the Italian troops, and were awarded medals of valor for it.'' 
(ANSAmed).
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Libri: il Dodecaneso italiano,una storia unica e dimenticata

Libri: il Dodecaneso italiano,una storia unica e dimenticata

Esce II volume Pignataro centrato su anni di Mario Lago 1923-36


(di Patrizio Nissirio) (ANSAmed) - ROMA, 9 SET - Una buona amministrazione. Uno sforzo notevole per modernizzare dal punto di vista infrastrutturale, agricolo ed urbanistico un territorio rimasto arretrato e marginale da secoli. Un'esperienza che, almeno fino al 1936, quando cambia la politica estera italiana, diventando più muscolare, ha più luci che ombre, specie in termini di tolleranza ed inclusione verso le varie comunità: la storia del Dodecaneso italiano (1912-1947), tanto unica quanto dimenticata, continua ad essere narrata con straordinaria - ed inedita - accuratezza e ricchezza di materiali da Luca Pignataro nel secondo volume del suo "Il Dodecaneso italiano" (Solfanelli, pp.655, 40 euro).

Un secondo volume incentrato sulla figura di Mario Lago, governatore del possedimento dal 1923 al 1936, anni in cui queste isole oggi greche (che dipendevano allora dal ministero degli Esteri e non da quello delle Colonie) diventano un esempio di sapiente amministrazione, grazie al livello culturale di Lago, "un uomo di cultura, oltre che diplomatico". Ma anche, sottolinea Pignataro, "perché Mussolini disse che doveva essere così, almeno per un certo periodo. Occorreva ristabilire buoni rapporti con Grecia e Turchia, quindi negli anni venti Mussolini fa fare dei trattati con la Grecia e viene detto ufficiosamente che si farà in modo di mantenere una certa autonomia degli abitanti. Poi nel 1936 cambierà la politica estera italiana, con l'atteggiamento per il quale si vuole controllare il Mediterraneo, la sfida alla Gran Bretagna. Quindi bisognerà essere più aggressivi".

Perché questo pezzo di storia italiana, dove c'è anche qualche motivo di orgoglio, proprio per la buona gestione delle isole ex ottomane, è finito nell'oblio, gli chiediamo? "Il motivo principale - spiega lo storico ad ANSAmed - è che l'Italia aveva perso la guerra e quindi bisognava far dimenticare queste attitudini da grande potenza, nel dopoguerra si doveva cercare di ristabilire buoni rapporti con paesi vicini, in questo caso la Grecia. Poi, la limitatezza del contesto geografico, e la sua perifericità. Gli italiani erano pochi, in quelle isole. Involontariamente, poi, si ricollegava il Dodecaneso italiano con l'attacco alla Grecia del 1940, che era una pagina molto triste. E tutto quel che poteva essere d'ostacolo ai buoni rapporti Italia-Grecia andava dimenticato".

"Lago - spiega Pignataro - aveva un livello culturale superiore e ha operato affinché questo possedimento diventasse una realtà fiorente. Cercò di avere una politica abbastanza tollerante verso le varie comunità, cerco di avvicinarle all'Italia con maniere affabili. Non ci fu fanatismo politico.

Sbaglia chi identifica i suoi anni con il fascismo col manganello. Il limite era nella cosa in sé: doveva promuovere queste terre, ma era il rappresentante di un paese straniero, bene o male, alla lunga avrebbe dovuto italianizzare in una certa misura gli abitanti. C'era un gran rispetto verso le consuetudini locali, non il tentativo di stravolgerle". "I greci colti - dice Pignataro, che ha passato 10 mesi negli archivi di Rodi -, quelli con una formazione culturale europea sono molto interessati a quel pezzo di storia. Ma i greci anche colti delle vecchie generazioni lo vivono con fastidio, lo vituperano, ne parlano a tinte fosche, ma sulla base di preconcetti ideologici. Al contrario, la gente comune, soprattutto a Rodi, parlando a quattr'occhi dice 'eravamo ben amministrati'. Riconoscono la qualità di interventi architettonici ed urbanistici che purtroppo oggi sono in rovina, e loro stessi se ne lamentano".

Quando arrivò il governatore Cesare De Vecchi di Val Cismon, nel 1937, le cose cambiarono. "Con De Vecchi la lingua d'insegnamento doveva essere solo l'Italiano, le scuole divennero tutte governative. Per fare questo licenziò molti maestri locali e fece venire molti insegnanti dall'Italia. Ci furono cose spiacevoli, fenomeni di squadrismo, ma anche in quel periodo ci si preoccupava del benessere materiale della gente.

De Vecchi non voleva che l'Italia entrasse in guerra, personalmente non era antisemita, anche se poi applicò le leggi razziali". "La politica di De Vecchi, ma soprattutto l'entrata in guerra con la Grecia rovinò tutto - ricorda Pignataro - A quel punto i giochi erano chiari: chi avesse vinto si sarebbe tenuto quelle isole. Lì cresce astio contro gli italiani, ma sempre in certa misura, infatti si racconta anche di amicizia con soldati italiani. A Castelrosso (oggi Kastellorizo) c'erano molti filo italiani, che combatterono con gli italiani contro gli inglesi ed ebbero medaglie al valore".(ANSAmed).
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lunedì 21 maggio 2012

Presentazione: IL DODECANESO ITALIANO - 1912-1947 di Luca Pignataro (Roma, Lunedì 28 Maggio, ore 17,30)


Lunedì 28 Maggio alle ore 17,30

nella Biblioteca della Camera dei Deputati (Sala del Refettorio)
Via del Seminario 76, Roma

presentazione del libro di Luca Pignataro

IL DODECANESO ITALIANO - 1912-1947
Vol. I - L'occupazione iniziale: 1912-1922 
Edizioni Solfanelli

Interverranno i professori Luigi Lotti (direttore dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea), Francesco Bonini (LUMSA) e Basilio Petrà (Pontificio Istituto Orientale).

Saranno presenti l'Autore e l'editore Marco Solfanelli




Il libro narra le vicende dell’amministrazione italiana delle isole del Dodecaneso nel Mar Egeo, oggi in Grecia, occupate dalle truppe italiane nel maggio 1912 (quando invece appartenevano alla Turchia ottomana), esattamente cento anni fa, inizialmente in via provvisoria.
Il dominio italiano sarebbe poi divenuto definitivo nel 1923 e si sarebbe concluso, dopo alterne vicende, solo al termine della Seconda guerra mondiale, lasciando tracce sia nel paesaggio sia nei legami interpersonali tra Italiani, Greci, Turchi ed Ebrei che vissero in quelle isole, in particolare nell’isola di Rodi.
Una pagina di storia ormai dimenticata e conclusa, che tuttavia merita di essere rievocata.


Luca Pignataro
IL DODECANESO ITALIANO - 1912-1947
Vol. I - L'occupazione iniziale: 1912-1922
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-712-3]
Pagg. 248 - € 20,00

http://www.edizionisolfanelli.it/ildodecanesoitaliano1.htm

lunedì 5 marzo 2012

Libri: Pignataro, la storia del Dodecaneso italiano (ANSAmed)

La dominazione italiana sull'Egeo dal 1912 al 1947

ROMA, 5 MAR - E' una vicenda storica che ha toccato la politica, la cultura e soprattutto le vite di italiani, greci, turchi ed ebrei: la storia del Dodecaneso italiano (1912-1947) è stata sempre indagata poco e male, nonostante ancora oggi, nelle isole che furono italiane, ci siano notevoli tracce culturali ed architettoniche della presenza italiana.

Il primo volume de Il Dodecaneso italiano 1912-1947 di Luca Pignataro (Solfanelli, pp.243, 20 euro) si impone subito come la prima opera di autentico rigore storiografico sull'argomento, capace di indagare sugli aspetti strategici, amministrativi e di politica culturale che scattarono quando le truppe italiane arrivarono nell'arcipelago tra l'aprile e il maggio del 1912, durante la guerra italo-turca, iniziando un'era di egemonia sulle "dodici isole" (questo vuol dire il nome in greco, in realtà 12 isole più Rodi). La presenza italiana si inserì in un complesso reticolo di comunità, dove greci, turchi ed ebrei vivevano da secoli, un mix che sarebbe stato sconvolto dalla Seconda guerra mondiale, con lo sterminio quasi integrale degli ebrei sefarditi, e poi con l'abbandono da parte dei turchi.

Gli italiani, che ricostruirono l'economia delle isole (il Trattato di Losanna riconobbe la sovranità di Roma sull'arcipelago nel 1923) e ne rifondarono la macchina amministrativa, concessero grande autonomia alle comunità almeno fino al 1936, quando il governo del Dodecaneso si "fascistizzò" con l'insediamento del governatore Cesare Maria De Vecchi.

Il primo dei tre volumi di cui è composta l'opera di Pignataro indaga - con l'utilizzo di una impressionante mole di documenti storici ed amministrativi dell'epoca - sull'occupazione iniziale, con particolare attenzione alle forme istituzionali e le prassi di governo, che modernizzarono una regione arretrata, ritrasformandola per la prima volta da secoli in un pezzo d'Europa. (ANSAmed).

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cultura/2012/03/05/visualizza_new.html_127433709.html

lunedì 26 dicembre 2011

Novità in libreria: IL DODECANESO ITALIANO - Vol. 1

Il primo volume esamina gli sviluppi dell’ordinamento giuridico delle isole sotto l’occupazione provvisoria (1912-1923), poi divenuta piena sovranità dell’Italia (dal 1923 alla seconda guerra mondiale), col passaggio da un’amministrazione diretta da militari a una di funzionari civili, evidenziando le sfere di autonomia di cui godettero sino al 1936 le tre comunità insulari: greca ortodossa (numericamente preponderante), turca musulmana, israelita sefardita (di quest’ultima viene delineata anche la situazione successiva alle leggi razziali del 1938).
Il libro passa poi a descrivere in quali ambiti le autorità militari italiane decisero a partire dal 1912 di intervenire nella realtà locale, organizzando in molti casi ex novo i servizi pubblici e riuscendo a superare il difficile periodo della prima guerra mondiale, per poi doversi confrontare con l’irredentismo ellenico.
Nel 1920, quando sembrava che solamente Rodi e Castelrosso sarebbero rimaste all’Italia, venne introdotta l’amministrazione civile: l’autore prende in esame le proposte di statuto elaborate dai governatori italiani per garantire una certa autonomia all’isola di Rodi. Nel 1922 tuttavia la catastrofe greca in Asia Minore e l’avvento al governo di Mussolini a Roma e di Kemal in Turchia avrebbero segnato il vero punto di svolta: tutto il Dodecaneso sarebbe divenuto definitivamente italiano.

lunedì 28 novembre 2011

Novità: IL DODECANESO ITALIANO - L'occupazione iniziale: 1912-1922

Molti sono gli Italiani che oggi si recano a trascorrere una vacanza in Grecia nelle bellissime isole dell’incantevole mare Egeo che prendono il nome di Dodecaneso (tra cui Rodi, Kos, Simi, Lero, Karpathos/Scàrpanto, Patmo, Kastellorizo/Castelrosso), ma ben pochi fra essi sono al corrente di quanto quelle isole siano state segnate da una presenza italiana durata dal 1912 — quando furono sottratte alla Turchia ottomana — agli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale: una presenza che segnò l’ingresso del Dodecaneso nella modernità e che viene per la prima volta ricostruita in modo approfondito in tre volumi di Luca Pignataro, elaborazione delle sue ricerche storiografiche iniziate nel 2000, svolte su una cospicua documentazione precedentemente non studiata da alcuno e culminate nella sua tesi di dottorato che ha conseguito il prestigioso premio della Fondazione Spadolini Nuova Antologia.
Il primo volume esamina gli sviluppi dell’ordinamento giuridico delle isole sotto l’occupazione provvisoria (1912-1923), poi divenuta piena sovranità dell’Italia (dal 1923 alla seconda guerra mondiale), col passaggio da un’amministrazione diretta da militari a una di funzionari civili, evidenziando le sfere di autonomia di cui godettero sino al 1936 le tre comunità insulari: greca ortodossa (numericamente preponderante), turca musulmana, israelita sefardita (di quest’ultima viene delineata anche la situazione successiva alle leggi razziali del 1938).
Il libro passa poi a descrivere in quali ambiti le autorità militari italiane decisero a partire dal 1912 di intervenire nella realtà locale, organizzando in molti casi ex novo i servizi pubblici e riuscendo a superare il difficile periodo della prima guerra mondiale, per poi doversi confrontare con l’irredentismo ellenico.
Nel 1920, quando sembrava che solamente Rodi e Castelrosso sarebbero rimaste all’Italia, venne introdotta l’amministrazione civile: l’autore prende in esame le proposte di statuto elaborate dai governatori italiani per garantire una certa autonomia all’isola di Rodi. Nel 1922 tuttavia la catastrofe greca in Asia Minore e l’avvento al governo di Mussolini a Roma e di Kemal in Turchia avrebbero segnato il vero punto di svolta: tutto il Dodecaneso sarebbe divenuto definitivamente italiano.


Luca Pignataro

IL DODECANESO ITALIANO
1912-1947
I - L'occupazione iniziale: 1912-1922


Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-712-3]
Pagg. 248 - € 20,00

venerdì 11 novembre 2011

Luca Pignataro autore dei volumi: IL DODECANESO ITALIANO 1912-1947

Luca Pignataro, nato a Roma nel 1973, si è laureato in Lettere presso
l’Università di Roma La Sapienza ed ha conseguito il titolo di dottore di
ricerca in Storia, politica e rappresentanza degli interessi nella società
italiana e internazionale presso l’Università degli Studi di Teramo. Ha
conseguito il diploma della Scuola biennale dell’Archivio di Stato di Roma
e di quella dell’Archivio Segreto Vaticano. È docente a tempo indeterminato
di italiano, storia e geografia presso le scuole secondarie.
Suoi articoli e recensioni sono stati pubblicati da qualificate riviste di
studi storici quali “Clio”, “Nuova Storia Contemporanea”, “Le carte e la
storia”, “Nuova Rivista Storica”, “Rivista di Studi bizantini e neoellenici”,
“La nuova Europa”, “Nova Historica”. Le sue ricerche storiografiche hanno
riguardato le isole Ionie nel periodo napoleonico, la Slovenia nella prima
metà del Novecento, la Resistenza cattolico-liberale in Emilia, la crisi del
movimento cattolico italiano negli anni Cinquanta, l’Ungheria dal 1945 al
1956.
Si è interessato alle vicende della presenza italiana nel Dodecaneso sin
dal 2000, pubblicando su tale argomento diversi articoli nel corso degli anni
e intervenendo alla XXX conferenza annuale della American Association of
Italian Studies, svoltasi nel 2010 presso la University of Michigan nella
città di Ann Arbor (USA), con una relazione dal titolo Il Dodecaneso italiano
fra politica e cultura
.
La sua tesi di dottorato, Il Dodecaneso italiano 1912-1947. Forme
istituzionali e pratiche di governo
, nel 2011 ha ricevuto il premio della
Fondazione Spadolini-Nuova Antologia.

martedì 1 novembre 2011

Anticipazione: IL DODECANESO ITALIANO 1912-1947

Nel 1912 l’occupazione italiana del Dodecaneso era iniziata come provvisoria, nel quadro della guerra contro la Turchia cui le isole appartenevano, ma le autorità militari italiane restarono ben presto colpite dalle condizioni di arretratezza in cui le isole versavano dopo secoli di dominio ottomano e si proposero interventi modernizzatori. Non tennero però conto della volontà della maggioranza degli abitanti, di etnia greca e religione ortodossa, di unirsi alla Grecia.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale avrebbe ben presto rivisto Italia e Turchia su fronti opposti, con la prima desiderosa di garantirsi definitivamente il possesso delle isole, ma gli anni del primo dopoguerra sembrarono prospettare un precario ripiegamento italiano sulla sola Rodi, cui le autorità italiane intendevano garantire un certo grado di autonomia sotto la guida di un governatore civile.
Dopo la catastrofe greca in Asia Minore nel 1922 e l’avvento al potere di Benito Mussolini, il dominio italiano veniva definitivamente sancito col trattato di Losanna del 1924, che dava vita al Possedimento delle Isole italiane dell’Egeo. Ne divenne governatore un diplomatico di estrazione liberale, Mario Lago, il quale vedeva nell’affermarsi del fascismo il rinnovamento del prestigio nazionale, senza però che questo facesse velo alla sua natura di uomo di cultura, di ampie vedute e di indole non aggressiva.
Egli iniziò così una raffinata politica di smussamento delle contrapposizioni e allo stesso tempo di inculturazione della popolazione ortodossa delle isole, mentre era garantita la simpatia delle minoranze etniche: l’israelita, che subito aveva visto nell’Italia la garante della propria emancipazione, e la musulmana, desiderosa di scongiurare il passaggio sotto l’aborrito vicino greco.
La politica di Lago, che vide il potenziamento delle infrastrutture, una spinta verso il miglioramento delle istituzioni locali ma senza troppo brusche imposizioni, il tentativo di indirizzare le giovani generazioni verso una formazione italiana e di favorire un’immigrazione di Italiani, l’avvio del turismo, segnò effettivamente l’inizio di un cambiamento radicale delle società isolane e persino del paesaggio, con nuovi e suggestivi edifici caratterizzati da un raffinato eclettismo e dal nuovo stile razionalista.
Divenne però anacronistica con l’affermarsi di un fascismo che intendeva assumere un volto sempre più totalitario. Fu così che il vecchio governatore alla fine del 1936 venne sostituito con uno dei massimi gerarchi del regime, quadrumviro della marcia su Roma e potenziale rivale di Mussolini, Cesare Maria De Vecchi conte di Val Cismon, il quale mise in opera una politica di radicale cancellazione di quasi tutte le tradizionali consuetudini educative e istituzionali delle comunità locali, politica che si rivelò del tutto sgradita alla maggioranza degli abitanti greco-ortodossi.
Per un altro infelice paradosso, dal 1938 il regime fascista riusciva a ferire la comunità dodecanesina che più di tutte aveva dato ripetute attestazioni di fedeltà all’Italia e al fascismo, quella israelita. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale non fece che precipitare i contrasti: a quel punto il destino del Dodecaneso faceva parte della posta in gioco.
L’Italia perse, e il suo crollo trascinò con sé anche il dominio delle isole egee, occupate dai Tedeschi e dai Britannici e infine passate definitivamente alla Grecia anelante a cancellare la parentesi “straniera” espellendo gli Italiani che vi avevano preso dimora (non pochi dei quali vivevano in Levante da generazioni). Ciò fortunatamente non valse a distruggere del tutto un patrimonio non solo di infrastrutture ma anche di relazioni umane e di scambi culturali che aveva ormai segnato indelebilmente il Dodecaneso.


Vol. I
Il Dodecaneso italiano (1912-1922)

Vol. II
Il Dodecaneso italiano (1922-1938)

Vol. III
Il Dodecaneso italiano (1939-1947)

giovedì 18 dicembre 2008

IL DODECANESO ITALIANO

Una delle più prestigiose riviste italiane di studi storici, “Nuova Storia Contemporanea”, nel corso del 2008 si è occupata di alcuni temi che riguardano le relazioni tra Italia e Grecia. Nel numero 4 (luglio-agosto 2008) ha pubblicato un articolo di Filippo Cappellano dedicato all’Occupazione italiana della Grecia 1941-1943, basato su documenti italiani sinora non studiati. Il precedente numero 3 (maggio-giugno 2008) ha ospitato invece un mio articolo dall’emblematico titolo Ombre sul Dodecaneso italiano, frutto di tre anni di ricerca in archivi di diversi Paesi. In esso si mettono in risalto le carenze su questo argomento (l’occupazione e poi possesso italiano delle isole egee dal 1912 al 1945) della storiografia sia italiana sia greca, troppo spesso affidata a personaggi che è eufemistico definire impreparati. È triste vedere come il passato delle relazioni tra i due Paesi sia stravolto da gente che sostiene di scandalizzarsi perché, a suo dire, gli italiani chiamano “alleati” i vincitori della seconda guerra mondiale per mettersi sul loro stesso piano, come se anche l’Italia avesse vinto la guerra: erano in realtà gli inglesi e gli americani a chiamare se stessi “alleati”, dunque noi italiani non abbiamo fatto altro che recepire il termine da loro usato. O ancora: taluno ha affermato che la storia del Dodecaneso italiano sarebbe taciuta perché piena di “ombre”, mentre in realtà è la storia della regolamentazione di vari aspetti (la riscossione delle imposte, la polizia urbana, gli orari dei negozi, l’igiene pubblica, la promozione dell’agricoltura e la tutela delle foreste, il catasto, il divieto di maltrattare gli animali da tiro, la limitazione della caccia, le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, i contratti di prestazione d’opera, la scuola e lo stato giuridico degli insegnanti, i segretari comunali e il controllo dei bilanci dei municipi, le abilitazioni professionali…) della vita sociale, analogamente a quanto avveniva in ogni Paese europeo improntato a quello che si chiama “Stato moderno”: tutte cose che la popolazione locale ammira e rimpiange (si veda l’interessantissimo libro di Nicholas Doumanis, purtroppo non tradotto in greco), ma che a taluni risultano sgradite perché sembrano quasi mettere in dubbio il diritto della Grecia sul Dodecaneso! Anche il tanto conclamato fascismo (termine peraltro che induce a malintesi, dato che in Grecia da molti si intende erroneamente per fascismo anche il nazionalsocialismo tedesco o addirittura la dittatura dei colonnelli!), che viene rinfacciato a ogni pie’ sospinto, nelle isole del Dodecaneso era rappresentato da poche persone, che fecero danni nel periodo successivo al 1936 ma risultarono invisi anche a molti altri italiani che risiedevano in Egeo. Particolarmente grave, oggi che ormai anche la Grecia fa parte dell’Unione Europea nella quale si tutelano le minoranze, è poi il fatto che, per mostrare unicamente il volto greco del Dodecaneso, si trascurino volutamente le storie degli ebrei e dei musulmani che lì vivevano e in parte vivono ancora. Ho dunque avuto modo di riscontrare una bizzarra alleanza fra alcuni ambienti ellenici, molto accalorati nel difendere una versione della storia patria ispirata a miti nazionalistici, e certi esponenti del mondo accademico italiano, mossi viceversa da un rifiuto della propria identità nazionale, al punto da voler leggere le vicende passate del proprio Paese con interpretazioni anacronistiche che distorcono la realtà in senso dispregiativo. Gli uni si caratterizzano per un malinteso senso di patriottismo, gli altri al contrario per mancanza di pietas e di rispetto verso il proprio Paese e i propri connazionali vissuti nel passato; gli uni e gli altri per un concetto disinvolto o lacunoso di ricerca storica. L’autore di questo articolo si limita a ricordare che non ha alcun senso oggi voler a tutti i costi giustificare o condannare il dominio italiano in Egeo (episodio circoscritto e certo non riproponibile: nessuno in Italia mette in dubbio l’opportunità che il Dodecaneso sia ellenico!), tanto più se a volerlo fare sono persone che all’epoca non erano nemmeno nate, e per questo giungere ad alterare o mutilare le fonti. Compito dello storico è ricercare la verità, e ben venga l’interesse per la storia del Dodecaneso, ma solo se a tale ricerca della verità e a serietà di metodo è ispirato, nonché al rispetto del lavoro di chi a ricostruire tale storia si è dedicato da diversi anni, senza godere di prebende ufficiali o luci della ribalta, anzi magari persino con qualche sacrificio personale.

Luca Pignataro
Università degli Studi di Teramo

giovedì 20 aprile 2006

Storia & Identità

In coincidenza col sessantunesimo anniversario della conclusione della guerra di liberazione, sta mostrando sempre più crepe l’interpretazione che la vuole frutto unicamente di un movimento rivoluzionario contro un generico «fascismo», parola in cui si pretende di riassumere tutti gli aspetti sociali e istituzionali della nazione italiana non riconducibili alle categorie «progressive» delle sopravviventi ideologie moderne e quindi identificati come «reazionari»; quel movimento rivoluzionario sarebbe stato canalizzato ed espresso al massimo dalle strutture del Partito Comunista, cui, quasi per una ineluttabilità storica, sarebbe spettato il primato nella lotta che si combattè tra il 1943 e il 1945 e un ruolo determinante nella nascita di una «nuova» Italia democratica e repubblicana.

Questa interpretazione, in realtà, escludeva dalla scena di quanto accadde in quei drammatici anni tutta un’amplissima porzione della società, quella che non si riconosceva nei sogni di un utopico rinnovamento sociale da realizzare a ogni costo, anche con la forza, eliminando tutto ciò che potesse rappresentare un legame forte col passato, in primis la religione cattolica. Anche fra i combattenti della guerra di liberazione, dunque, vi furono non pochi i quali la vissero da «patrioti» piuttosto che da «partigiani», quale guerra per la libertà della patria comune dall’oppressione straniera e dalla dittatura interna, non certo per insediarne una nuova di stampo sovietico, e che erano mossi, nel loro agire personale, da una marcata religiosità. Tali personaggi non mancarono anche in quelle zone ove massiccia era la presenza comunista, come l’Emilia.

Fu questo il caso di Mario Simonazzi, il partigiano «Azor», su cui, dopo un silenzio pluridecennale e non casuale, fa ora luce una biografia sobria e pacata scritta dalla nipote Daniela, non storica di professione, ma autrice ugualmente di un pregevole e meritorio lavoro di ricerca, svolto consultando archivi privati e pubblici e interpellando i testimoni ancora viventi. Oltre alla memoria familiare, il fatto che precedentemente nessuno storico si fosse preso la briga di indagare su questa figura, spiega ulteriormente lo zelo della Simonazzi.

Mario Simonazzi nacque nel 1920 da una famiglia povera della campagna reggiana — il padre era falegname — e crebbe a contatto di istituzioni religiose quali la parrocchia, un collegio in cui frequentò il ginnasio, l’Azione Cattolica, cui continuò ad appartenere con impegno. Era l’Azione Cattolica di Pio XI (1922-1939) e di Luigi Gedda (1902-2000), quella guardata con diffidenza dal regime fascista per il suo ruolo alternativo nella formazione dei giovani e che, pur lontana dal costituire un partito politico, sarebbe stata la fucina di buona parte della classe dirigente italiana dopo il 1945. Il giovane Simonazzi fu assunto dalle Officine Reggiane e dovette alternare quel lavoro con i periodi in cui fu chiamato sotto le armi, in Aeronautica, dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Durante il servizio militare, il suo zelo e la sua coscienziosità furono più volte lodati dai superiori. La preparazione così acquisita gli tornò assai utile dopo l’8 settembre 1943, allorché, senza esitazione, scelse di darsi alla macchia per combattere contro l’occupante tedesco e il fascismo repubblicano, valendosi di una rete di relazioni e dell’amicizia con Giorgio Morelli (1926-1947) — nome di battaglia «il Solitario» —, un altro giovane cattolico reggiano col quale iniziò la redazione dei I Fogli Tricolore, una pubblicazione clandestina che apparve quando ancora non esisteva un movimento resistenziale organizzato in Reggio Emilia e provincia. La linea di apoliticità che li caratterizzava, finalizzata all’unico scopo di liberare l’Italia dalla dittatura, si mantenne anche di fronte al brusco impatto con la realtà delle bande partigiane sull’Appennino, caratterizzate da atteggiamenti di indisciplina e brutalità accompagnati dall’ostentazione degli ideali rivoluzionari comunisti. Fu per questo che «Azor» — nome di battaglia scelto da Simonazzi e tratto dal nome di un personaggio del giornale cattolico per ragazzi Il Vittorioso — tornò in pianura ove organizzò molti uomini di cui fu riconosciuto capo, inquadrati nelle Squadre di Azione Patriottica (Sap).

La sua condotta delle operazioni belliche, col fine di evitare ritorsioni nazifasciste sulla popolazione civile, nonché la sua abilità nell’ottenere finanziamenti senza ricorrere a sistemi illeciti, se da un lato gli procurarono una grande popolarità, dall’altro gli causarono l’ostilità di molti esponenti comunisti dei Gruppi di Azione Partigiana (Gap), i quali assunsero nei suoi riguardi un atteggiamento di diffidenza e sfiducia anche in previsione del dopoguerra. Nei primi mesi del 1945, dunque, prima un suo collaboratore fidato e poi «Azor» stesso scomparvero — il vice-comandante partigiano fu ucciso il 23 marzo 1945 da altri partigiani, che poi ne occultarono il corpo in un bosco — e un clima di intimidazione accompagnò la scoperta del loro assassinio, grazie al ritrovamento dei cadaveri a Liberazione avvenuta. La famiglia Simonazzi non ottenne nulla dalla Questura cui si era rivolta perché indagasse, mentre l’unico che pubblicamente osava incalzare i capi comunisti affinché rivelassero tutto quello che sapevano dell’omicidio fu Morelli «il Solitario», ricavandone un attentato, le cui conseguenze gli avrebbero prematuramente stroncato la vita. Alcuni anni dopo, qualcuno affermò di conoscere gli assassini, ex partigiani, alcuni dei quali dopo l’arresto furono fatti fuggire clandestinamente in Cecoslovacchia, ma i successivi processi non avrebbero fatto piena luce.

Malgrado il perdono cristianamente accordato dai suoi familiari agli assassini rimasti ignoti, «Azor» non venne mai commemorato neanche nell’ambito delle strutture ufficiali della Chiesa reggiana, e francamente me ne sfugge il motivo. Non stupisce, viceversa, che solo in seguito alle ricerche della Simonazzi uno storico locale «ufficiale» abbia scritto un altro libro, nel quale si cerca di ridimensionare la figura di «Azor», presentandolo come un idealista che non aveva ben compreso la reale natura della lotta di liberazione e che forse sarebbe stato ucciso a scopo di rapina. La realtà è ben più complessa e proprio la reticenza sin qui mostrata, per esempio, dalle organizzazioni partigiane vicine al partito comunista ne è prova.

Una figura come quella di «Azor», un giovane di estrazione sociale modesta, ma di viva fede cattolica e di sincero animo patriottico, non collima con l’immagine del partigiano che ci è stata tramandata da certa retorica. Di più: l’immagine della Resistenza che oggi è ancora corrente, risente del travisamento operato intorno al 1968, allorquando si è gabellato per «resistenza» tutto ciò che mirava ad abbattere la società tradizionale, definita spregiativamente e impropriamente «borghese», con la sua etica e i suoi costumi reputati «repressivi» dai seguaci di una miscela di marxismo e di psicanalisi male assimilati. Non si vede, francamente, perché certi ambienti giovanili quali, per esempio, quelli dei cosiddetti «centri sociali», sarebbero i continuatori della Resistenza, quasi che i giovani partigiani del 1943-1945 fossero alfieri della droga libera e disprezzassero le responsabilità e le gioie connesse ai legami sociali e familiari.

«Azor» va associato ad altre belle figure di partigiani cattolici, come Teresio Olivelli (1916-1945) e Gino Pistoni (1924-1944), che non lottarono per odio né per distruggere, ma per amore e per ricostruire l’Italia al di sopra di ogni fazione, e lo riteniamo degno, oltre che di quella memoria storica che dovrebbe essere imparziale, di essere mostrato come esempio ai giovani, così come era nell’intento dei suoi amici che eressero un cippo commemorativo nel cortile di una scuola elementare. In certi ambienti, la cui influenza sembra spesso preponderante, è consueto affermare che l’Italia, per diventare un Paese «civile», avrebbe dovuto sbarazzarsi della religione cattolica e dare «compimento» alla Resistenza; mi sembra che persone come Mario Simonazzi smentiscano con la loro vita e la loro morte la verità della prima affermazione e facciano rimpiangere che non siano state loro a dare pieno compimento alla lotta di liberazione.

Luca Pignataro